I personaggi di Casa Ghia
CàMia è lì, nel cortile di Casa Ghia con la sua storia che giorno dopo giorno si fa sempre più importante grazie a tutti gli ospiti che l’hanno frequentata

Giuseppe e Amelia


Se ogni storia deve avere un inizio allora la storia di CasaGhia parte da qui, da questa foto.
Lui era un ragazzo del ’99; di nome faceva Giuseppe, era un Ghia. Lei, sua sorella, di nome faceva Amelia, anzi Ketty Amelia e portava lo stesso cognome.
Li ho visti poche volte insieme, le storie della vita li avevano allontanati. I loro incontri, però, erano intensi e i loro sguardi pieni di affetto. Ricordo i loro silenzi, lunghissimi; la testa di lui che si muoveva per annuire; sempre con il bastone in mano.
Sono certo che lei attendesse qualche parola in più ma così era. Rispettava il suo silenzio e il suo parlare poco e quel poco le bastava.
La Storia di Giuseppe e Amelia
I loro incontri, erano intensi e i loro sguardi pieni di affetto

Ricordo i loro silenzi, lunghissimi; la testa di lui che si muoveva per annuire; sempre con il bastone in mano. Il suo sguardo era un misto di devozione e affetto, sguardi che poche altre volte ho ritrovato in vita mia. Lui tornava alla Colombara dei Ghia, dove era nato, per salutare i figli, le sorelle, i nipoti.
Non l’ho mai più visto dormire in quello che lei mi diceva essere il suo letto ancora pronto, in sua attesa. Un giorno mi venne a prendere alla stazione di Voghera con la sua Renault 4 rossa che aveva necessariamente sostituito lo storico maggiolino verde.
Era inverno, faceva freddo, la Renault era ghiacciata. Non superò mai i 30 chilometri orari ma non sentii nessuno suonargli il clacson o lanciargli improperi. Altri tempi.
Mi salutò in stazione, qualche parola di circostanza, poi il silenzio fino alla Colombara.
Alla Colombara dei Ghia nacquero e vissero tutti e due. Lui in parte visto che persa sua moglie in giovane età si rifece una vita in altra corte.
Lei no; visse tutta la sua vita nella piccola frazione in una solitudine che nessuno si permise mai di disturbare o di discutere.
La sua sveglia il gallo, la sua buona notte il tramonto. Nel cortile di Casa Ghia aveva due case, a distanza di 20 metri l’una dall’altra.
La prima per l’inverno, più calda, l’altra per l’estate; diceva che di lì passava l’aria del Po che la manteneva fresca e asciutta. E’ stata l’antesignana dello “Slow food”. Il suo minestrone con le fave così non l’ho più mangiato. Il suo segreto la cottura.
Lenta, lunga; il fuoco sempre basso. Lo metteva sulla stufa a legna al mattino presto. Lo faceva bollire fino a mezzogiorno preciso. Poi lo toglieva dal fuoco, mi chiamava e me lo serviva bollente.
Piatto unico!
La incontravo dal ritorno delle mie notti bianche mentre faceva colazione.
Non avevo ancora diciotto anni. Le brillavano gli occhi al pensiero che anche io mi alzassi così presto al mattino.
Non riuscii mai a dirle che ancora il letto non lo avevo visto.
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